Etica

Proteine “sintetiche”

Come forse alcuni biologi e molte persone comuni sono rattristato per la decisione di bando e condanna della ricerca produzione e consumo delle proteine ricavate dalla coltura di cellule.

Non ho seguito l’iter che ha consentito di arrivare a produrre proteine “sintetiche”. Da quando ero studente, ormai una cinquantina di anni fa, ho sempre pensato però che la fine degli allevamenti di animali e la loro “liberazione” passasse obbligatoriamente per la produzione di proteine costruite in laboratorio.

Il rigetto del sistema è motivato dalla pretesa insufficiente qualità delle proteine “sintetiche”. Effettivamente un pezzo di carne non è solo proteine ma porta con se un enorme numero di diversi nutrienti, cofattori, enzimi e coenzimi che concorrono a renderlo di alto valore biologico. Non credo che questo basti. Abbiamo a disposizione altri alimenti di origine vegetale che possono farne le veci. Con qualche attenzione vegetariani e vegani vivono bene e  sono ben rappresentati  tra gli atleti di livello mondiale. Potessero integrare con proteine di origine animale coltivate magari condite come meglio possibile in laboratorio, forse vivrebbero anche meglio.

Altra motivazione è la difesa del Made in Italy. Questa è veramente una sciocchezza. Interessi, rendite di posizione, non vedo altro. Se non l’interesse generale soccombere per la salvaguardia del particolare.

Eppure in un mondo che conta ben otto miliardi persone dove milioni di ettari sono sottratti al bosco ed a altre culture e dove scarseggia ormai l’acqua persino dove è sempre stata abbondante con quale ottusità si può rinunciare ad un hamburger “sintetico”. Appestati da pesticidi e concimi, avvelenati da carni gonfiate e antibiotici abbiamo perso il senno?

Sui miliardi di animali che obblighiamo ad una breve vita orribile e sono macellati peggio non un pensiero.

Non sono fiero di essere uomo anzi consapevole di avere più mezzi e capacità degli altri animali mi vergogno profondamente. La natura non è affatto bella. I virus parassitano le cellule, altri parassiti se la prendono con noi, tutti quanti approfittiamo delle piante fino ai buchi neri che si mangiano le galassie con un appetito senza fine. Se c’è qualcuno responsabile di tutto questo ha di sicuro le rotelle fuori posto.
Eppure noi che ci sentiamo tanto intelligenti e creativi, mi riferisco ora a noi italiani, non siamo capaci di vedere otto miliardi di persone su un pianeta asfissiato ne molti miliardi di povere bestie per terra, mare e cielo.

Non ne faccio una colpa a chi ci governa del tutto preso nella valutazione di interessi del momento, reso cieco dall’ignoranza e per natura umana privo della capacità di vedere al di là di un orizzonte temporale brevissimo. Diciamo che gli animali non hanno coscienza del tempo. Fosse così non dimostriamo affatto di essere diversi.

Le proteine sintetiche arriveranno prima o poi in tavola a dispetto di tutte le resistenze. Un pericolo tuttavia esiste e portano con se. La meccanizzazione in agricoltura, i trattori, ci hanno consentito di moltiplicare la produzione. Con essa il nostro numero. Tutti conoscono il rapporto che esiste tra la volpe artica ed il lemming. Con aumentare del numero dei topi aumenta, con un certo ritardo il numero delle volpi. Con l’aumentare del numero delle volpi diminuisce quello dei topi cui segue quello delle volpi e così via con un andamento ciclico senza fine. Noi costruiamo più trattori, ariamo più campi e facciamo più figli che non muoiono di fame e che a loro volta guidano i trattori. Il ciclo è più lungo ma si compirà o per mancanza di carburanti o di trattori o di campi sufficienti. Con le proteine sintetiche potrebbe avvenire qualche cosa di simile. Una sterminata quantità di cibo ed un altrettanto sterminato numero di persone che porteranno inevitabilmente con loro bisogni e aggressività, fame di spazio, di aria e di acqua.

Questo è ciò che dovrebbe preoccupare e questo si dovrebbe governare. Dovremmo in qualche modo cercare di limitarci prima che qualche cosa d’altro lo faccia drammaticamente per noi. Appunto, dovremmo ma non sappiamo.  Questa maledetta selezione del più adatto che ha determinato l’evoluzione delle specie ci obbliga a combattere contro tutto e tutti senza lasciare tempo e testa per altro.

Notizie sul sito e didattica

Questa mattina del 26 dicembre ho pareggiato i cavalli ed è stato semplice tanto l’unghia è resa tenera dalla pioggia. Mi domandavo per quanto tempo sarò in grado di continuare a pareggiare i giganti e quanto sarebbe bello se qualcuno di quelli che da e hanno imparato un mestiere o semplicemente ad avere cura dei piedi e della alimentazione del proprio cavallo se ne  ricordasse e venisse almeno a tenere un piede sul treppiede. Ma così vanno le cose, non mi aspettavo nulla di più.  Con le sessioni tenute dalla dentista americana Wendy Bryant sono di fatto terminate le occasioni di incontro già da qualche anno organizzate per me da altri. Mentre sono sempre disposto a questo ho deciso di offrire la mia esperienza teorica e pratica in cambio però di aiuto nel governo, pulizia e pareggio dei miei cavalli. Lezioni, video, pratica in cambio di aiuto. Preparazione all’ingresso nella associazione in cui è confluita la American Hoof Association. Chi fosse interessato mi chiami o mi scriva. Insieme dettiamo tempi e condizioni.

Aggiungo che questo sito verrà chiuso probabilmente alla fine del prossimo anno. Chi volesse adottarlo è il benvenuto se condivide i principi etici che lo contraddistinguono. Se avete già un vostro sito potreste aprire un “cassetto” o meglio una nuova categoria, come credo si dica in gergo compiuteresco, per garantirgli la sopravvivenza.

Il mese scorso ho ritardato di un paio di giorni di pagare per il rinnovo. Dopo solo una ora il sito era già parassitato da sellerie e dal sito Amazon per la vendita di attrezzatura come briglie,  fruste ed ogni altra porcheria inutile e dannosa che potete immaginare, in assoluto contraria a tutto quanto ho detto e fatto per quindici anni. Me ne sono lamentato con Aruba che ritengo responsabile di avere permesso questo sciacallaggio. A quanto pare il web è peggio del selvaggio west. Almeno la non ti sparavano alla schiena ma in duello regolare.

Guardando ad est.

Già quando commentai le vicende sui cambiamenti climatici mi dissero “cosa centra questo” con i cavalli e la gestione naturalizzata. Risposi che non vi è nulla di sostenibile e concreto senza  una politica che comprende  la riduzione degli sprechi e la virtuosa gestione delle materie prime  senza almeno il tentativo ed indirizzo alla pianificazione del numero degli utilizzatori. Così come predicavano negli anni del dopoguerra tutti i maggiori intellettuali e politici. Il contenimento del genere umano in un pianeta che non è di gomma che interessa a tutti ma di cui nessuno osa più parlare, pur essenziale dovrebbe essere accompagnato dalla diffusione delle più elementari regole democratiche e rispetto. Ora, se guardate ad est ed a sud, ditemi se ne trovate. Pensate a Reggeni, all’utilizzo dei migranti come arma di ricatto e per instabilizzare l’Europa, alla persecuzione di giornalisti. Dovrebbe bastare. Israele è una piccola isola democratica. Dove le donne guidano, sono padrone di se stesse. Dove si può praticare il culto che si vuole. Dove l’espressione è libera. Con tutti i problemi di un paese piccolissimo, sede di frizioni insanabili determinate da politiche internazionali secolari. Al di la di tutto quel che è oggettivamente riscontrabile è la qualità della vita e la libertà cui noi europei siamo abituati che fa la differenza. Guardando ad est ed a sud la ritrovate solo in Israele. Non parlo di uomini beninteso ma di sistemi.

Mi sono occupato di gestione naturalizzata, di animali. Senza spazi qualsiasi miglioramento è impossibile. Ma è impossibile anche in un mondo senza regole, dove la casta, il genere, la posizione iniziale sono unici riferimenti. Non vi basta come buona ragione per l’inserimento di quanto segue? Mi spiace, sento il dovere morale di richiamare l’attenzione sui razzi e l’odio contro un popolo di lavoratori, pionieri, ricercatori, contadini che hanno faticato duramente.

E questo è un blog e vivo in un paese dove per fortuna l’espressione è libera.

L’articolo che segue è tratto da IL GIORNALE.IT

Ditemi dunque, che cosa dovrebbe fare Israele? Voi che marciate nelle strade italiane o inglesi o tedesche con le bandiere palestinesi e urlate slogan che accusano Israele di crimini contro l’umanità

Ditemi dunque, che cosa dovrebbe fare Israele? Voi che marciate nelle strade italiane o inglesi o tedesche con le bandiere palestinesi e urlate slogan che accusano Israele di crimini contro l’umanità, di essere uno stato d’apartheid, di pulizia etnica, voi che difendete Hamas a Parigi, a Berlino, a Londra e a Roma, che inondate Israele di accuse storiche e fattuali sui social media; che, persino, con demenziali teorie della cospirazione suggerite che Netanyahu, diabolico principe del male, avrebbe scatenato la guerra d’accordo con Hamas per ragioni di potere. Voi che finché i terroristi bombardano le case, i kibbutz, le scuole, Gerusalemme e Tel Aviv non uscite per strada per denunciare i palesi crimini contro l’umanità contenuti nel prendere di mira la popolazione civile; voi che quando il terrorismo suicida fece duemila morti nelle strade di Israele con la Seconda Intifada trovaste il tempo, paradossalmente, solo per condannare, anche allora, il diritto alla difesa contro l’omicidio di massa della gente d’Israele che saltava per aria negli autobus e nelle pizzerie, ditemi se avete un’idea su come fermare Hamas che non prendere di mira le strutture e gli uomini di chi progetta e opera i bombardamenti.

Hamas ha attaccato Israele senza nessuna ragione, un altro round in cui tortura l’intera popolazione civile prendendola a caso di mira, senza altro obiettivo che quello di terrorizzare, uccidere, distruggere. Lo fa tenendo in ostaggio la sua popolazione: due milioni di persone. Quando la usa come scudi umani, sta lanciando missili o organizzandosi per farlo: se l’esercito israeliano si ferma proprio in quel momento, il missile di Hamas parte. E quale governo, quale esercito, ha il diritto di decidere di abbandonarsi all’eventualità che quel missile colpisca i suoi concittadini? Sarebbe pura complicità con il crimine. La verità è nella semplicità di questa vicenda e la sua manipolazione ha un carattere ideologico, è frutto di un pregiudizio contro lo Stato d’Israele come stato delegittimato, indegno di esistere e di battersi per la sua esistenza. È antisemitismo. Proprio come gli ebrei erano considerati indegni di esistere e battersi per la propria esistenza e quella dei figli. Nessun Paese ha dovuto sopportare più a lungo i colpi che il terrore gli ha inflitto.

La scelta ideologica di Hamas è definitiva, la stessa di Haj Amin al Husseini, l’amico di Hitler, negli anni ’30. Israele ha opposto in prima linea uno scudo mondiale di protezione anche morale con la forza della legge, della moralità delle armi, e di una società aperta. Se si trattasse di scontro territoriale, l’Onu non si baloccherebbe dal 1975 con risoluzioni che ripropongono l’idea che «sionismo è uguale razzismo». È vero il contrario: il sionismo di un qualsiasi israeliano, e anche di Netanyahu che da ignorante presuntuoso, un ministro e vicepresidente del Pd, Provenzano, accusa di essere un reazionario, è fiducia nella apertura della propria casa, come provano le tante offerte di pace sempre rifiutate dai palestinesi, nella democrazia così costosa, ma è anche identificazione chiara del nemico che ti vuole uccidere. Delegittimando Israele dal suo diritto alla difesa, si sottintende la legittimità, per converso, dell’eliminazione del popolo ebraico. Israele deve fermare Hamas, anche se la guerra asimettrica è terribile e dolorosa: fingere di non capirne il significato evidente significa alla fine condividere almeno in un angolo del proprio cuore l’idea che nella parola ebreo esista un contenuto di illegittimità, specie nel momento dell’autodifesa contro l’aggressione e la violenza armata.

Panoramica sulla ricerca e la prevenzione Covid

Questo video di metà dicembre ’20 è stato realizzato in collaborazione tra Israele ed Italia . Tre gli interventi.

Divulgativo e comprensibile ma ad ottimo livello.

Grazie a Israele.net per l’opportunità.

Al momento, 1 gennaio ’21, il Times of Israel dichiara un numero di vaccinati al giorno tale da rendere possibile l’intervento su metà della popolazione per la fine di febbraio (compreso richiamo). Da notare che i numeri, abitanti e superficie, sono paragonabili a quelli di una regione italiana. Ancora una volta un esempio di splendida organizzazione.

 

1 Gennaio 2021
Mentre la campagna di vaccinazione anti-coronavirus israeliana sta per entrare nella seconda settimana, il Ministero della Salute ha riferito giovedì che finora sono stati vaccinati quasi 800.000 israeliani. Con un ritmo che ha raggiunto le 150.000 iniezioni al giorno, il Ministero ha riferito che circa il 33% della popolazione over-60 ha ricevuto la prima delle due dosi necessarie. Israele figura tuttora in testa fra i paesi del mondo per numero di vaccinazioni pro capite, con il 7,74% della popolazione vaccinata. Il ministro della salute Yuli Edelstein ha voluto ringraziare in particolare tutto lo staff sanitario che sta garantendo gli alti tassi di vaccinazioni in 257 postazioni distribuite in tutto il paese. Edelstein ha tuttavia aggiunto che Israele dovrà sospendere le vaccinazioni per due-tre settimane per consentire a coloro che hanno fatto la prima iniezione di poter ricevere la seconda dose di richiamo.

(Israele.net)

Pandemia. Delusione e Vergogna.

Delusione e Vergogna sono i due sentimenti che provo in queste settimane. Vedo finalmente intorno a me, ma so che è solo una breve parentesi, l’ambiente che desidero. Poco rumore, poche automobili, poca gente. I mezzi pubblici saranno riadattati e saranno disponibili solo posti a sedere? Sulle spiagge gli ombrelloni saranno distanziati. Non è quello che tutti hanno sempre desiderato? Da giovane frequentavo campeggi e evitavo la pressione di quelli più frequentati. In occasione di un viaggio negli USA rimasi piacevolmente impressionato dalle regole che limitavano l’ingresso e le piazzole normalmente distanziate in un modo che non aveva uguali in Italia. Le regole di distanziamento sociale hanno ristabilito le distanze. Giuste. Il rammarico consiste nel vedere questo precario distanziamento raggiunto a causa delle misure straordinarie Covid e non grazie ad una minore densità di abitanti per km quadrato.  Dal 1920 al 2020 la popolazione italiana si è più che triplicata. Lo sconsiderato appello a far figli, la tassa sul celibato, la necessità di baionette hanno fatto parte dell’insieme di sciocchezze che hanno fatto entrare in guerra i nostri nonni. Il boom del dopoguerra, l’edilizia dei palazzi di sette piani insieme agli ecomostri ha completato l’opera. Il rammarico è reso ancora più profondo dalla constatazione che non c’è forza politica che arrivi a considerare il tasso di natalità ridotto una risposta di difesa naturale. Come ogni biologo farebbe. Non c’è popolazione che sotto stress non riduce i suoi numeri. Un esempio? Le pensioni, L’INPS faticherà a corrispondere le pensioni? Allora serve il bonus bebè e favorire l’immigrazione. Con il risultato di appesantire ancora i servizi. Non sarebbe vera dimostrazione di rispetto per le generazioni future eventualmente ridurle le pensioni? In modo scalare in attesa di un naturale, purtroppo veloce, riequilibrio generazionale?

Basterebbe guardarsi intorno in Europa per notare che la densità e lo stato di benessere della popolazione sono inversamente proporzionali se non in casi particolari dove l’organizzazione ed il sentimento di appartenenza sono tali da supplire in qualche modo alle difficoltà di vivere in un pollaio. Peccato che noi, forse più di ogni altro paese della comunità, manchiamo di una e dell’altro.

Il mondo nel suo complesso dimostra lo stesso trend demografico dell’Italia.  Cina e India hanno la responsabilità di gran lunga maggiore. Non credo che cinesi e indiani possano essere considerati popoli felici. I cinesi paiono ossessionati dal miraggio del primato mondiale, gli indiani non si capisce bene ma in entrambi i casi le popolazioni si comportano come un alveare dove l’individuo abdica alla sua identità a favore della comunità. Durante il secolo scorso nessun intellettuale o ricercatore trascurava di porre l’accento sulla necessità di una seria politica di contenimento della crescita della popolazione basata su considerazioni logiche. I più giovani non ricordano Rita Levi Montalcini e suoi colleghi Nobel del ‘900 ed i loro sforzi nel tentativo di orientamento politico e sociale. Un sistema finito ovvero di determinate dimensioni, la Terra, non può mantenere una popolazione in crescita incontrollata. Alla faccia di una qualsiasi produzione ecosostenibile. Nessuno può credere davvero che una popolazione di sette miliardi di persone possa essere mantenuta da agricolture biologiche e allevamenti di polli a terra senza l’uso di antibiotici.  Ne che possa essere realizzato un trasporto pubblico igienico. Solo il controllo demografico consentirebbe a lungo termine il distanziamento naturale.

Ma anche le poche politiche demografiche sono fallite. Soprattutto in India dove i furgoni ambulatorio di Indira Ghandi proponevano la sterilizzazione maschile tramite vasectomia dietro compenso, ostacolati con successo dalla propaganda indù. In Cina la temporanea regolamentazione delle nascite ha contribuito senza dubbio all’attuale crescita. Un gran numero di lavoratori a bassissimo costo consente di invadere di prodotti il mercato, un numero ancora maggiore sarebbe stato di intralcio. Forse è a questo che pensano i politici di casa nostra? Voi immaginate le conseguenze di questa rincorsa?E potete immaginare l’ambiente, le possibilità, cosa sarebbe e come si vivrebbe in una Italia di venti milioni di persone ante prima guerra mondiale in possesso della conoscenza e tecnica attuale? Intanto non dovremmo elemosinare soldi dalla comunità europea. E qui arriviamo al secondo sentimento, quello della vergogna.

Nessuno si fida del nostro paese. Senza tornare a commentare il ventennio, l’impero e le sue catastrofiche imprese basta constatare che non si è stati capaci in settanta anni di rimediare alla involuzione del sud, di eradicare la criminalità organizzata, di correggere il malaffare della corruzione. Perché dovrebbero darci credito. A quanto pare non siamo solo pieni di debiti ma incapaci di progetto. Alla delusione e alla vergogna si aggiungono l’incredulità e la nausea. Il teatro della politica e della amministrazione pubblica non si differenzia dalle storielle fantasiose dei film della serie I pirati dei Caraibi. Tutti contro tutti. La bugia ed il tradimento eletti a sistema. La bussola non indica la direzione bensì quel che il singolo desidera per se stesso al momento. L’incredulità diventa nausea ascoltando politici affermare che coloro che percepiscono il reddito di cittadinanza non possono essere impiegati in agricoltura perchè, udite, per raccogliere i pomodori e le fragole serve una specializzazione! Che a quanto pare la manodopera straniera possiede!?  Nessuno mi ha chiesto certificati quando lavoravo come scaricatore in porto a Genova ne per vendemmiare. Ricordo solo la fatica ricompensata dalla soddisfazione.

Quel che non manca mai è la stucchevole propaganda. Il paese più bello del mondo! E la burocrazia, utile a nascondere incapacità e traffici. La confusione normativa. Non vado al mare ma brindo agli ombrelloni finalmente a distanza ed agli olandesi che giustamente fanno fronda e ci mandano a quel paese ricordandoci che non siamo intelligenti come pretendiamo.

Risposta allo Sciopero Globale Clima

Le discussioni sul clima si fanno via via più frequenti. Il nodo centrale delle discussioni sono le modalità di produzione di tutto quanto viene utilizzato nella vita di tutti i giorni in particolare per gli spostamenti.

Le frasi e la posizioni sono ricorrenti.

Ricorrente è la dichiarazione sulla incapacità sostanziale dell’uomo alla rinuncia, alla estrema difficoltà di una conversione industriale che significa lo stravolgimento della vita di ognuno e della società nel suo complesso. Ciò che si è determinato in un secolo, è comodo e per molti versi utile, non si può smontare facilmente. Non può essere facilemnte digerito dal singolo.

Di qui la richiesta alle istituzioni, nazionali e sovranazionali, affinché, passando al disopra della volontà e comportamento dei singoli, prendano progressivamente ed in modo accelerato quei provvedimenti che si crede possano frenare il degrado ambientale e invertire la attuali tendenze.

Sopravvissuti ed evoluti, come tutti gli altri animali e piante, in continua lotta per la sopravvivenza portiamo in noi stessi il “selfish gene” di Dawkins, un patrimonio genetico inteso a perpetuare se stesso nel tempo senza nessuna sensibilità verso il resto del mondo o meglio una graduale diminuzione di interesse per gli individui via via più distanti da noi nel rapporto di parentela e poi di specie. Man mano che la sensibilità diminuisce aumenta l’interesse utilitaristico.

Tutto ciò può essere solo in minima parte smorzato, regolato, dalla legge. La nostra natura si esprime attraverso le leggi e non viceversa. Con le leggi, ma una norma scarsamente condivisa ha vita breve, si cerca di contemperare l’interesse individuale a quello della comunità. Ogni comunità esprime un diverso ordinamento o interpretazione.

Questa natura umana, inerentemente egoista che, è bene ripeterlo, é comune ad ogni vivente, non può essere dimenticata quando si parla del futuro della nostra casa, il pianeta Terra.

Come ogni territorio nel suo complesso é in grado di supportare la vita di un numero molto grande di specie in equilibrio tra loro. Ma se molto grande è il numero di specie possibili, anzi la variabilità pare in rapporto inverso con la ricchezza e qualità della vita, non così é per il numero di individui di cui é composta la singola popolazione. Nessuna di esse può ingrandirsi a dismisura se non a scapito delle altre e a medio o lungo termine a scapito di essa stessa. Man mano che ci si avvicina al vertice della catena alimentare il danno provocato dal sovrannumero é maggiore e gli esiti precoci.

Qualsiasi allevatore, sociologo, psicologo od osservatore naturalista conosce bene ed a riflettuto a lungo sui problemi indotti dall’aumento della densità della popolazione. Ma non bisogna essere degli scienziati per apprezzare la differenza fra la qualità della vita umana od animale in un ambiente rarefatto e ben organizzato e quella possibile in un pollaio dove l’allevatore per il suo interesse particolare non tiene in alcun conto il benessere degli animali che sono intesi come macchine produttrici.

L’aumento della densità riduce gli spazi e la qualità della vita per il singolo ma non il cibo solo quando la comunità vive in ambiente circoscritto dove il cibo proviene dall’esterno.

Per quanto grande la Terra è un ambiente finito, inteso come di superficie limitata e definita. Come tale non è in grado di mantenere una popolazione i cui individui aumentano indefinitamente. Anche se teoricamente fossero mantenuti stabili i rapporti fra le varie specie.

Il cibo necessario é solo uno delle variabili indotte dal numero dei componenti della popolazione.

Il cibo ed il nostro comportamento si traducono inevitabilmente in rifiuti.

Anche una popolazione di pesci, che non va né in automoble né a scuola e men che meno utilizza derivati del petrolio é capace di soffocare se stessa in un acquario con le proprie deiezioni. Un numero determinato di pesci può vivere in un acquario. Un numero determinato di capi di bestiame può vivere in un pascolo.

Se è necessario rivedere per modificarli i nostri comportamenti, è altrettanto necessario comprendere che non si può evitare di discutere sul numero degli utilizzatori. Sarebbe onesto intellettualmente ma le poche volte che questo accade si è ignorati, zittiti o accusati apertamente.

Durante il secolo scorso l’incremento demografico era al centro delle discussioni come causa del degrado ambientale. Oggi al suo posto ci sono le metodiche di produzione dell’energia quando, ed é paradossale, esse sono in media meno inquinanti di allora. Il fatto é che la produzione é aumentata in modo esponenziale per far fronte ai maggiori consumi del singolo ma, é questo il punto, alla maggiore diffusione dei consumi ed al maggiore numero degli individui. Che possono e potranno consumare responsabilmente di più se saranno di meno.

Forse ogni discussione potrebbe essere affrontata in modo più logico se non si dimenticasse uno o l’altro dei due aspetti. La frase “nessuna madre o nessun padre per quanto si dia da fare può allevare e alimentare le aspettative dei propri figli se i figli sono troppi” non dovrebbe essere sottovalutata.

Non c’è intellettuale del ‘900 che non l’abbia pronunciata. Io ricordo mio padre, anni ’60.

Ai ragazzi che scendono in piazza per reclamare politiche ambientali vorrei ricordare che esistono le politiche demografiche.  Il vostro futuro non é tanto nelle mani degli anziani quanto nel freno che saprete porre alla riproduzione quindi all’incremenponderale to della comunità umana mondiale. La spinta alla riproduzione, come l’egoismo, appartiene al singolo individuo piaccia o no. Solo la comunità può in qualche modo cercare di limitarla. Programmarla sarebbe il termine corretto. Peccato che in qesto caso il termine risulti antipatico. Tutte le leggi o solleciti utili al controllo demografico del passato hanno incontrato grande difficoltà perchè non sono comprese ed in opposizione ai nostri istinti.  Controlliamo la sorte ed il numero di tutti gli altri esseri viventi. Dovremmo imparare a gestire il nostro.

Franco Belmonte,   bitlessandbarefoot-studio.org

Cesenatico, an introduction

bitlessandbarefoot-studio.org

Dalla newsletter october 2015  –  Cesenatico 31 ottobre-1 novembre 2015

Italian / English people, translation thanks to Mike Drell  

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ITALIAN

Franco Belmonte

La ricorrenza dei Santi si avvicina e con essa l’incontro di Cesenatico. Sono in attesa pareggiatori di diversa provenienza formativa, studenti, proprietari di cavalli e veterinari, addestratori ed altre figure professionali. Ho fortemente desiderato questo evento come irripetibile occasione di incontro ed ho chiamato a partecipare come invitato speciale e relatore il dr. Tomas Teskey dall’Arizona. Gli americani hanno, ormai parecchi anni fa, riaperto la strada del barefoot che é stata dei greci, dei romani, dei mongoli, ed hanno fatto questo insieme agli europei della dr. Strasser. Anche noi italiani abbiamo avuto un pioniere del cavallo scalzo, il prof. Faillace, totalmente ignoto agli anglosassoni probabilmente perché scriveva e parlava in italiano. Lui ed altri hanno fatto si che il movimento barefoot si sia sviluppato in Italia con la stessa velocità ed intensità che ha caratterizzato in genere il mondo occidentale. Recuperato una decina di anni fa un certo ritardo non abbiamo nulla da invidiare ad altri paesi, né dal punto di vista tecnico né soprattutto etico ma soffriamo sicuramente dell’inconveniente linguistico. Se scriviamo un articolo in italiano ci rivolgiamo ad un lettore locale mentre un articolo di qualità magari inferiore in lingua inglese ha una più grande possibilità di essere letto e diffuso.

Semmai alcuni a causa delle stesse opposte difficoltà linguistiche non hanno ben chiaro, ma capita anche che faccia comodo ignorarlo, quale sia lo stato avanzato del barefoot e dell’ironfree movement al di fuori dei loro confini. Assai spesso invece del confronto e della crescita comune si guarda alla colonizzazione intellettuale e di mercato. Il mondo é livellato anche dal nostro piccolo punto di vista. A piccole aree e gruppi avanzati teoricamente e praticamente, senza distinzione di frontiere, si accompagnano vaste aree arretrate che rimangono tali non tanto a causa della mancanza di strumenti di conoscenza ma volontariamente per il mantenimento di una comoda rendita di posizione.

All’incontro di Cesenatico ho invitato quindi Tomas non in quanto americano o straniero. Lo ho invitato in quanto rappresentante noto di una categoria che, salvo eccezioni ed a causa dei programmi di studio, rendita di posizione ed inerzia, prese alcuni anni fa una posizione critica e netta a favore della cura e mantenimento dello stato di salute dei cavalli e degli animali in genere piuttosto che di sfruttamento ed utilizzo a breve termine. Questa posizione il dr.Teskey la ha formata ed integrata con la stratificazione delle conoscenze e con l’applicazione di tecniche naturali in parallelo alle tradizionali in un insieme che concorre al finale benessere e mantenimento dello stato di salute. Soprattutto su questo ci siamo trovati, su quel che lui ed altri chiamano medicina olistica ed io più semplicemente riconoscimento della supremazia delle buone regole del buon senso nell’applicazione delle più elementari norme igieniche e di comportamento. Norme che coinvolgono la gestione nel suo complesso, l’aria, l’acqua, il cibo, la libertà di movimento la pulizia e non possono prescindere dalla sferratura e, con il miglioramento della relazione, dall’abbandono delle imboccature. Non conosco perfettamente quale sia la attuale posizione di Tomas riguardo alle imboccature. Questo tema sovente rimane in ombra, non è diventato di moda parlarne e partecipare. Anche se spesso si vede l’accoppiata “cavallo sferrato e condotto senza imboccatura”, altrettanto spesso l’apertura nei confronti dell’abbandono del ferro ai piedi si accompagna allo strenua difesa del ferro in bocca. Al di là delle accettazione delle motivazioni mediche per la rinuncia ad ogni imboccatura ben documentate dalla nostra europea Strasser, dall’americano Cook e dal russo Nevzorov per citare i più conosciuti, motivazioni di per sé più che sufficienti, rimane la assoluta mancanza di sportività testimoniata dal loro utilizzo. Delegare ad un attrezzo la riuscita “migliore” di un esercizio è come gareggiare nei cento metri stile libero con le pinne corte. Messner, che mi piace citare spesso, ha rinunciato alla progressione artificiale in parete con enorme successo ed ha fatto scuola, lo stesso concetto e comportamento è applicabile all’equitazione. Rispetto per la montagna o per l’animale, capacità ed espressione individuale, sono mortificate dal ferro in bocca come di quello piantato in una parete.

Tomas Teskey verrà a Cesenatico a fare la sua presentazione del barefoot ed io spero che il suo nome richiami e faccia da ulteriore volano al movimento nell’interesse degli animali. Persone come me, Luca Gandini, Alex Brollo, Stefano Sabbioni, Sonja Appelt e sicuramente altre che dimentico o non conosco hanno già faticato molti anni nel tentativo di creare un ambiente alternativo e migliore. Ognuno con il suo entusiasmo, applicazione, conoscenze e limiti personali. Il fine settimana di Cesenatico dovrebbe servire in primo luogo a far riconoscere questo ed a creare le premesse per una maggiore unione del movimento barefoot che fino ad oggi si presenta diviso. Nell’articolo “Una Testimonianza dall’Italia” che Yvonne Welz ha pubblicato alcuni anni fa sul suo “The Horse’s Hoof ” magazine ho già messo l’accento sulla necessità di incontro delle varie scuole sui principi prima che sulla tecnica. Si, i fondamenti. I fondamenti del barefoot che hanno i loro cardini nell’impegno del proprietario, l’igiene dell’ambiente e la scelta del terreno idoneo oggi ancora e di nuovo in affanno a causa della introduzione e diffusione delle nuove protezioni dello zoccolo a carattere permanente.

Torna a prevalere su tutto il resto la comodità dell’attrezzo?

Una decina di anni fa Ramey nei suoi DVD “Under the Horse” ci diceva che basta tenere la parete corta perchè tutto il resto entri o rimanga in funzione con solo l’aggiunta di occasionali ma oculati interventi sul resto delle parti. I problemi della parte posteriore del piede? Troppo semplici per parlarne ancora. La laminite? Non un problema inevitabile ma un danno facilmente attribuibile alla alimentazione sconsiderata ed al confinamento. Non è cambiato nulla. Ma invece di sollecitare un pareggio semplice e frequente, un terreno idoneo, una alimentazione appropriata e nella mancanza spesso di idee sufficientemente chiare su quanto ciò significhi si sta rispostando l’interesse e l’intervento su tutto quanto era già proprio della mascalcia, gestione e diagnostica tradizionale con la sola sostituzione della plastica al ferro. Ciò che è semplice ed efficace non produce.

Questa introduzione è per me una occasione per far riflettere il lettore sul fatto che in Italia la maggior parte di coloro che voleva andare sferrato ci va, gli strumenti di conoscenza ci sono e tutti hanno avuto occasione di parlare del famoso mustang, di conoscerlo in tutta la sua potenza e salute e persino di avere in mano il famoso zoccolo che Jackson porta sempre con sè e portò anche a Teramo in facoltà. Si comincia anche a guardare con rinnovato interesse ai nostri tolfetani ed agli altri piccoli gruppi di cavalli sparsi per le nostre montagne uniti da un davvero utile “comune denominatore”, la pressione selettiva.

Se la potenzialità che può esprimere il domestico ben allevato e gestito ormai è chiara anche ai sassi chi resiste lo fa da ignorante, su posizioni scientificamente indifendibili e miserabili. Si chiede di dimostrare scientificamente l’opportunità del barefoot. Ebbene io chiedo di dimostrare scientificamente l’opportunità della ferratura e della gestione tradizionali visto che colica e laminite sono le due cause principali di morte dei cavalli.

Se di limite bisogna parlare Il vero limite non è del cavallo di andare sferrato su un terreno o su un altro, ma dell’uomo e della sua mancanza di capacità di attesa e accettazione dell’inevitabile limite della propria cavalcatura. Limite proprio di ogni essere vivente, determinato dal patrimonio ereditato e dall’ambiente. La mancanza di accettazione del limite e la totale diseducazione sportiva sono evidenziate, risalendo dal piede alla bocca del cavallo, proprio dall’ostilità nel rifiuto di abbandono dell’imboccatura. Anche quando lasciano in pace gli zoccoli, magari seguendo una moda o l’amica, almeno tramite la bocca queste persone “devono” intervenire, superare, dirigere invece di attendere e costruire, fare squadra con il proprio cavallo. Il cavallo rimane la bestia pericolosa e possente che necessita della forza e capacità di intimidazione del ferro per essere guidata. Non so appunto se Tomas sia dalla parte di Cook o della Strasser che hanno scritto insieme “Metal in the Mouth”, certo ha dimostrato un gran carattere scrivendo il suo famoso articolo per il Veterinary Journal ed insiste anche ora affinché si affermi una cultura della dignità nel lavoro di addestramento e pratica sportiva tramite una gestione più consona alla necessità dell’animale, un atteggiamento onesto ed infine una tecnica di intervento sullo zoccolo più efficiente. Per questo, per insistere sul rispetto dell’animale che passa anche e soprattutto ormai attraverso la bocca, quel rispetto che sarà filo conduttore del seminario di Cesenatico, vi propongo il passo che nei pannelli informativi conclude la mostra fotografica che ho realizzato sugli animali e la Grande Guerra. Mentre preparo questa newsletter la mostra fotografica è esposta a S.Marino nel Castello di Borgo Maggiore.

” … A final comparison, mountains climbing vs riding and driving! The same approach to the many difficulties. The barefoot movement, when not totally iron free, is itself, limping. To be totally iron free provides evidence revealing the truth regarding the skills, knowledge, and sportsmanship of the owner. Messner was free-climbing searching for his personal limits and for the continuous improvement of his performance. In the same way, genuine horsemen and horsewomen are able to find true satisfaction in the “naked” ability that comes from athletic fitness, adaptedness to the terrain, horse-human relationship and ability to manoeuvre. Perhaps a manoeuvre may appear less refined to certain eyes, but merits a fundamentally valid appreciation. For me and Reinhold, it is not so important to reach the summit, but the journey itself, and both the quality and manner of travel. “The journey and how we face it.” Our journey begins thanks to an awareness that the term “domestic animal” is an excuse for us to keep animals in situations prioritising our conveniennce. The box stall, the restriction of movement, the blankets, blinders, meals, rich food are in opposition with the nature of the roaming animal. Shoes and bits are the equivalent of the “artificial progression” that Messner refused….”

Concludo questa introduzione . Ci vediamo a Cesenatico in un hotel e non in centro. Perché? Questa scelta può parere a molti effettivamente svantaggiosa. Per raggiungere i cavalli e la parte pratica bisognerà uscire dall’aula e fare qualche km. Non è il comfort della possibilità di alloggio o la sala o la località conosciuta turisticamente che mi hanno fatto decidere. Mi spiego. Senza nulla togliere ai pochi centri gestiti onestamente, almeno uno o due desidererei visitarli insieme a voi e Tomas, desidero riportare l’attenzione sulla centralità del proprietario dell’animale, termine già carico di valenza negativa. Senza l’attenzione, consapevolezza e coinvolgimento del proprietario gli animali rimangono o ritornano alla mercé di molteplici interessi, in sostanza al vento che tira con l’avvicendarsi delle stagioni economiche, degli uomini incaricati del governo e dei loro interessi diretti o mediati. I proprietari e la loro preparazione, anche semplice ma rigorosa, sono infinitamente più importanti del professionista del momento. Il proprietario decide per la maggior parte della vita dell’animale. E aggiungo decide meglio se istruito. Sul proprietario e la sua capacità di intervento nel pareggio semplice, sulle sue basilari conoscenze di Scienza della Nutrizione, sulle tecniche di Partnership sono sicuro dobbiamo investire il nostro tempo.

Nessun pareggiatore, veterinario, chiropratico o erborista o osteopata può sostituirsi efficacemente al “Natural Boarding”. Natural boarding che trova la sua più facile espressione nel giardino dietro casa.

Il barefoot è nato come emancipazione del proprietario a favore dell’animale grazie alla capacità di opposizione al sistema tradizionale resa possibile dall’informazione. Per questo l’incontro non si terrà in un “condominio per cavalli” o presso una clinica pur riconoscendo che esistono tantissimi poveri campicelli privati e fangosi.

I condomini per cavalli rappresentano oggi gli zoo di ieri. Molti zoo sono stati chiusi o ristrutturati già cinquanta anni fa, l’etichetta domestico non dovrebbe permetterci di continuare a trattare un animale peggio di un selvatico. Le due prime cause di morte dei cavalli, la colica e la laminite testimoniano il fallimento della gestione comunemente intesa e della veterinaria corrente. La colica e la laminite così comuni nei condomini per cavalli e negli animali di fatto abbandonati, così facilmente affrontabili e prevenibili con la razionalizzazione del comportamento del proprietario o del gestore evidenziano tragicamente la necessità di preparazione di una nuova generazione di operatore l’: “operatore per l’ igiene veterinaria finalizzata al benessere animale“. Igiene, badate bene, per il mantenimento dello stato di salute animale non per l’ottimizzazione della produzione né per l’espressione di una performance.Solo quando questi principi saranno espressi sull’Adams’ , sul Merck o in Nutrient Requirements of Horses questi operatori tecnici, centrali per il recupero, per la riabilitazione degli animali e la diffusione di un sano comportamento umano troveranno nel veterinario una spalla sicura su cui contare.

Credo che Tomas, insieme ad alcuni altri in giro per il mondo, sia un buon amico degli animali e rappresenti già una buon operatore e  spalla allo stesso tempo.

A Cesenatico, Franco Belmonte

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ENGLISH TRANSLATION (thanks to Mike Drell)

 

Tomas Teskey

 

The celebration of the Saints is approaching and with it the clinic of Cesenatico. Waiting are trimmers of different educational backgrounds, students, horse owners and veterinarians, trainers and other professionals. I strongly wanted this event to be a unique opportunity for these people to meet. I called to participate as a very special guest and clear speaker, Dr. Tomas Teskey, from Arizona. The Americans, several years ago, reopened the road to the barefoot horses, which belongs to the ancient Greeks, Romans, and Mongols. At the early stage, there were the Europeans of dr. H.Strasser. Also, we Italians have had a pioneer of barefoot named Faillace, totally unknown to the Anglo-Saxons probably because he wrote and spoke in Italian. Thanks to him and other beginners, the barefoot movement has developed in Italy with the same speed and intensity that has characterized the western world in general.  Having recovered a decade ago from some delay, we have nothing to envy in other countries, not from the technical point of view and especially ethics, but surely we suffer the inconvenience of our language. If we write an article in Italian, we can hope for a few local readers, an article maybe less interesting in English has a greater chance of being widely read and distributed. Due to the same language difficulties, our local advanced stage within the barefoot and ironfree movement is largely ignored by Anglo-Saxons outside their borders. Often, instead of searching for confrontation and mutual growth, there appears to be an attempt at colonization of the intellectual market. The world is leveled even from our little perspective. Regardless of national boundaries, there are small areas and groups advanced in both theory and practice, while other vast areas remain left behind.

In this leveled scenario I invited Tomas to the meeting at Cesenatico not because he is an American. I invited him as a representative of a category that, of course with exceptions and strongly due to the programs of study in the universities, has taken a few years ago a critical and clear position in favour of the care and maintenance of the state of health of horses and animals in general, rather than supporting their continued exploitation and the use of them for short term gain.

The ethical position of Dr.Teskey has grown with the stratification of knowledge and the application of natural techniques in parallel with traditions that contribute ultimately to the overall well being of horses. We come together over these principles, on what is sometimes called holistic or ethical medicine, but which I simply call, “recognition of the supremacy of sound practices of common sense in the application of the most basic rules of hygiene and behavior”. Such rules involve the boarding conditions as a whole. In order for the air, water, food, freedom of movement, and cleanliness of the environment to be truly effective, they must not be separated from the barefoot choice and even the abandonment of the bit. I do not know deeply the position of Tomas regarding the bit. This subject too often remains in the shadows. Frequently one sees the combination “bitlessandbarefoot”. However, just as often we find barefoot adherents staunchly defending their use of a bit in the mouth.

There are many well-documented reasons to renounce practices of putting anything in the mouth of horses. The contributions of our European, Strasser, Cook in America and Nevzorov from Russia all provide plenty of motivation against the use of bits. However, on top of all this, one easily recognizes an absolute lack of humane sportsmanship when observing the use of metal in the mouth. Equine sport and exhibition relying on a “better” maneuver from a bit could be said to resemble a one hundred meter freestyle swimmer wearing fins! I often like to quote, Messner, who waived the help of tools when climbing mountains (artificial progression) with enormous success. I strongly believe that his ‘school of thought’, concept, and behaviour are applicable to riding and driving. Whether climbing a mountain or riding an animal, the true capacity of the individual expression is mortified by the iron held in the mouth or planted in the rock.

Tomas Teskey will come to Cesenatico. I hope his respected name will renew and revive a genuine and robust interest in our Movement in favour of the Animals. In addition to my own efforts, people such as Luca Gandini, Alex Brollo, Stefano Sabbioni, Sonja Appelt and certainly many others that I forget, have been struggling over many years in our attempts to create an alternative environment. Each one of them works tirelessly with enthusiasm, dedication, and knowledge, despite personal limits. I would very much like to see us all together with Dr. Tesky.  The weekend of Cesenatico should serve primarily to commemorate our communal work and to foster the conditions for a real unity within the barefoot movement that has so far remained divided. In my article, “A Testimony from Italy”, published some years ago by Yvonne Welz, I have already emphasized the necessity of a meeting amongst the various schools on ethical principles above technique.

Yes, the fundamentals. The fundamentals of barefoot, which hinges upon the commitment of the owner, the hygiene of the environment, and the choice and necessity of suitable land. Moreover, this appropriate land must include terrain both for living as well as for rehabilitation. Now, we find that these fundamentals are in doubt because of the introduction and widespread acceptance of new protections for the hoof of a permanent nature. I underline permanent. Are we going back to a preference for the convenience of a tool?

A decade ago, Pete Ramey, in his DVD series, “Under the Horse”, tells us, amongst the many other things:

-Just keep the wall short. Most of the time, this will be enough to maintain the other parts in proper function. Easy to do for the owner.

-The problems of the rear part of the foot? Too simple to face for a trimmer to talk about it anymore.

-Laminitis? A real problem easily attributable to unnatural boarding, but a problem that we can effectively face with our simple tools and technique.

Nothing has changed from that time. Instead, it seems necessary to insist upon teaching owners how to provide a simple trim, which is both effective and frequent; also to provide suitable terrain and adequate food. However, the “system” tries once again to transfer the interest and behavior of horse owners towards what already existed within the world of conventional farriery, just replacing the old metal shoe with plastic and glue. That which is simple, bare, and effective does not produce money, after all. Do not think now that I am against new materials. There is a place for it. However, what I see is a widespread and mostly unnecessary drifting away from the bare hoof. What is the real limit of our intervention and target? Everyone has had the opportunity to know the famous mustang, to know his strength and health and even to have in our hands that famous wild hoof that Jackson always carries with him and we could see some years ago when he came to Teramo.

These are horses with few limits because of their environment. The real limit of our horses is not determined by the ability of a horse to go barefoot on a given terrain. The limiting factors belong to mankind and his lack of ability to wait and train patiently or accept the inevitable limits of his mount. The limit belongs to every living being, determined by inherited characters and by the existing environment to be addressed by us, trimmers.

The lack of a capacity to accept a limit and the total miseducation within sports are clearly evident, returning again and again from the foot to the horse’s mouth, by the refusal to abandon the bit. Even when the hooves are left in peace, perhaps merely following a fad or a friend, at least through the mouth these people “must” intervene, overcome, direct rather than wait, and build a true team with their own horses. The horse remains the dangerous beast in need of intimidation by the bit and unable to make a “perfect” maneuver without it. I do not know the position of Tomas. The same thinking of H. Strasser and Cook that wrote “Metal in the mouth” ? He certainly showed great character by writing this famous article for the Veterinary Journal. For this reason I called him to give my testimonial in support of this possibility for change. Let me insist on this matter of animal respect and the bit. While I am writing this newsletter my exhibition of photographs about the use of animals during WWI, the dogs, horses and mules, remains on display in San Marino, Borgo Maggiore. The following quote comes from this exhibition.

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… A final comparison, mountain climbing vs riding and driving! The same approach to the many difficulties.

The barefoot movement, when not totally iron free, is itself, limping. To be totally iron free provides evidence revealing the truth regarding the skills, knowledge, and sportsmanship of the owner. Messner was free-climbing searching for his personal limits and for the continuous improvement of his performance. In the same way, genuine horsemen and horsewomen are able to find true satisfaction in the “naked” ability that comes from athletic fitness, adaptedness to the terrain, horse-human relationship and ability to maneuver. Perhaps a maneuver may appear less refined to certain eyes, but merits a fundamentally valid appreciation.

For Reinhold, and me it is not so important to reach the summit, but the journey itself, and both the quality and manner of travel.

“The journey and how we face it.”

Our journey begins thanks to an awareness that the term “domestic animal” is an excuse for us to keep animals in situations prioritising our convenience. The box stall, the restriction of movement, the blankets, blinders, and meals of rich food are in opposition with the nature of the roaming animal. Shoes and bits are the equivalent of the “artificial progression” that Messner refused.

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To conclude my introduction to the Cesenatico clinic. This clinic will take place in an hotel and not in a riding center. Why? This choice may seem disadvantageous to many. To get to the horses and to do some practice, we need to leave this location and drive some kms. Not the comfort of the accommodation, or the well known touristic location led me to this decision. Without detracting from the few riding centers managed naturally, I wish to bring attention to the centrality of the horse owner, a term already loaded with negative value. Without his attention, awareness and daily involvement, the animals remain at the mercy of the many interests that the men in charge of the government have to face. The owners and their preparation, simple but rigorous, are infinitely more important than the presence of all the various professionals. The owner decides most of the time and for the life of the animal. No jogger, veterinarian, chiropractor, osteopath or herbalist can effectively replace the “Natural Boarding”. The natural boarding is found easier in the backyard. The barefoot started, in my opinion, as emancipation of the owner in favour of the animals due and thanks to the ability of opposition to the traditional system.

The owner. For this reason the meeting will not take place in a “condo for horses” and in the way of a typical clinic. The condos for horses represent today the zoo of yesterday. Many zoos have already been closed or restructured fifty years ago. The label “domestic” should not allow us to continue now to keep an horse worse than a wild animal. The two leading causes of death in horses, colic and laminitis testify to the failure of the management of the horses as commonly understood. Colic and laminitis, so common and preventable with the rationalization of the behavior of the owner or the manager, tragically highlight the need to prepare a new generation of operators. Operators for the veterinary hygiene aimed at animal welfare. Operators that show and teach in a basic and simple manner. Hygiene, mind you, for the maintenance of animal health not for the optimization of production or for the expression of a performance, as taught in the university to the vet students. Only when these principles are expressed in books like the Adams’, Merck or Nutrient Requirements of Horses those technical operators, central to the recovery, rehabilitation of the animals and to the spread of an healthy human behavior will find in the veterinarian a shoulder to rely on.

I think Tomas, along with a few others around the world, proves a good friend of the animals and already a good operator and shoulder at the same time.

See you soon,  Franco Belmonte  –   www.bitlessandbarefoot-studio.org

 

Pareggiatori ed Economisti

Pareggiatori ed economisti (29 settembre 2015)

Tempo fa mi capitò di leggere “Storia della Economia” di J.K.Galbraith.

Nelle prime pagine Galbraith cita Aristotele e la sua osservazione secondo la quale le cose utili hanno spesso uno scarso valore di mercato, le inutili al contrario sono molto care. Andando avanti nel libro, che credo tutti dovrebbero leggere anche se non hanno un soldo o forse proprio per questo, da ragione della nascita delle teorie economiche sostenute da leggi matematiche. Ebbene, scrive Galbraith, un giorno un congresso di economisti si sovrappose o seguì un altro congresso di professionisti tecnici nella stessa sala.

Quei professionisti facevano uso di formule matematiche, per lo più non intelligibili ai profani, e gli economisti trovandosi di fronte le loro lavagne ancora zeppe di formule si sentirono in imbarazzo ed inferiorità con le loro parole e discorsi. Un po per questo un po perché venne subito realizzato che lo stesso imbarazzo e senso di inferiorità sarebbe stato provato dallo sprovveduto cliente investitore nacque da li a poco una nuova “Scienza dell’Economia”. Milioni di persone ne sono state vittime da allora senza più potere nemmeno dare colpa né a se stessi né al proprio suggeritore.

Lo stesso avviene da qualche tempo tra i pareggiatori e tra i pareggiatori ed i loro clienti. I pareggiatori si sentono inferiori a volte con la loro raspetta nei confronti di chi forgia. Si sentono anche inferiori nei confronti di chi utilizza macchine per la diagnostica. Peccato che chi ferra induca “un male non più necessario”. Quasi quasi lo stanno dimenticando. Peccato che chi utilizza la diagnostica per immagini spesso abbia egli stesso una capacità limitata di interpretazione causa i programmi universitari e la mancanza di adeguata reale specializzazione. Se non lo sapete il radiologo che referta una vostra lastra se europeo studia 6 anni per diventare medico e altri 5 per specializzarsi in radiologia. Poi non è nessuno per un pezzo e in ospedale segue un primario.

Torniamo al nostro pareggiatore.

Lungi dal comprendere che il pareggio e tutto il barefoot movement si è fondato sulla semplicità dell’osservazione logica e dell’evidenza dei fatti alla ricerca dell’adeguamento della vita del cavallo alle necessità di specie, come si comporta il bravo pareggiatore innovatore sempre alla ricerca di migliorare se stesso ed il servizio? Con un grande sforzo va alla ricerca della distinzione e promozione della sua figura, già estremamente definita da Jaime Jackson e da chi è venuto dopo di lui, con il tramite di tecniche inutili, e appunto costose, materiali high tech e infine apparati alternativi da proporre come diagnostici. Mi spiego. Credo fermamente che il pareggiatore o se preferite il “hoof care provider” oppure “horse care practitioner” che adesso fa tanto tendenza, per assolvere la sua funzione debba essere un semplice ed onesto, chiaro operatore per la “Igiene nell’interesse della salute animale”. Questo operatore, per non confondersi con la moltitudine di ciarlatani circolanti dovrebbe avere capacità di pareggio di manutenzione e riabilitativo, sicurezza nella comprensione delle maggiori malattie sociali del cavallo (e dell’asino), capacità di individuare nelle norme igieniche e quindi nel rispetto degli spazi, socialità, alimentazione corretta e teoria dell’allenamento i maggiori strumenti per il mantenimento dello stato di salute. Magari avere una sufficiente preparazione in tutto questo e altre materie per poi specializzarsi in una. Pare però che queste cose semplici ma non facili da comprendere non bastino né alla sua vanità né alla sua capacità di persuasione del cliente. E così ecco che i pareggiatori si muovono e pensano come gli economisti di Galbraith. Ognuno alla ricerca dell’astutamente difficile strumento che ipnotizza, giustifica, confonde. Se stessi e gli altri. Alla ricerca della giustificazione di se stessi soprattutto se ignorantelli e insufficienti, poi del cliente che dopo avere speso un mucchio di soldi e non aver concluso magari un acca  avrà tutte le ragioni di risentirsi. I pareggiatori, che dovrebbero trovare nel terreno penetrabile e pulito il loro maggiore alleato cominciano così a rinunciare a pretenderlo per proporre, e vendere, scarpe. E fino a che si tratta di scarpe e solette tutto va bene. Quanto aiutano! Il proprietario è coinvolto giornalmente nella cura e manutenzione. Ma il mercato ha inventato ben altro. Se il maniscalco usa la forgia loro possono sempre usare le resine.  Se il veterinario usa le macchine portatili per schermografia loro possono sempre usare la termografia. Senza capirci un acca naturalmente. Sempre di qualche “ia” si tratta in fondo.

Ma le scarpe sono inferiori, per quanto utilissime in infiniti casi, al terreno adatto.

Le resine, servono a ricostruire parti ed utilizzare il cavallo precocemente piuttosto che a risolvere.

Le bende gessate o di immobilizzazione sono preziose in caso di frattura della terza falange. Nel caso di un laminitico ci sarebbe ampiamente da discutere. A volte è utile immobilizzare e ridurre l’ elaterio che di per sé, nella dislocazione delle parti, é fonte di dolore. Altre volte no. I tempi e la circostanza guidano. Il calore generato nell’applicazione dei materiali ne sconsiglia l’uso nella forma acuta.

Quando poi scarpe e colle vengono utilizzate insieme ritorniamo alla protezione permanente ed alla possibilità per il proprietario di continuare a tenere l’animale in situazioni igieniche povere e su terreni non adatti dando nel contempo la possibilità e l’illusione della capacità di prestazione. Questo é quello che fanno già egregiamente i maniscalchi. Il fine del movimento barefoot, scusate, non era diverso? Ma arriviamo alla termografia. Ne sento parlare con insistenza. Questa macchina costa poco, questa macchina costa tanto…ma sull’Adams’ viene liquidata come un apparato di capacità scarsamente o per nulla diagnostico nelle mani di chi, e questo è da vedere, dovrebbe avere la conoscenza generale che lo dovrebbe mettere in grado di affrontare l’interpretazione di immagini difficili ed ambigue. Sorrido pensando che coloro che ne parlano con insistenza so per certo non hanno nemmeno una idea compiuta di che cosa sia una infiammazione e dei tempi e dei processi che a lei sottostanno. Mi capita di andare in giro con un amico veterinario. Io con la raspa lui con lo stetoscopio. Ci rispettiamo, se si tratta di piedi o di materie particolarmente di mia competenza come l’alimentazione parlo io, se si tratta del resto parla lui. Uno parla , l’altro ascolta e poi “si tratta” e si conclude. Potremmo comperarci una macchinetta per fare le lastre, ci abbiamo pensato. Io ho fatto un esame di radiobiologia, lui non lo so. Ci siamo detti cosa ne facciamo se non siamo in grado di distinguere che cose grossolane. Ci accontentiamo della semeiotica fisica come il buon bravo medico condotto del passato e se ci capita sbirciamo una immagine. Parlo di laminiti e navicoliti se non lo avete capito, non del resto. Resto che a me non compete. Non ci sentiamo inferiori. Non certo a quelli che sullo zoccolo che a qualsiasi ordine etnia o genere appartengano antepongono la semeiotica radiologica e strumentale a quella fisica non conoscendo né la seconda né la prima e per darsi un tono. Non ci sentiamo inferiori perché quel che facciamo per il pareggio di riallineamento della capsula con la terza falange, o per riportare l’animale ad una condizione possibile da una di stress o addirittura di choc non viene influenzato dalla diagnostica per immagini che semmai può essere utile ad individuare tempi e previsione di capacità di riabilitazione, non i suoi modi. Del termografo poi, surrogato povero ma futuribile di qualche altro mezzo non sapremmo che fare. Di esempi e paragoni se ne possono fare quanti se ne vuole. Tutti nel loro campo possono sicuramente osservare comportamenti simili. Non mi illudo che questa mia posizione serva a qualche cosa, ognuno si illude o cerca di illudere pervicacemente gli altri a seconda della sponda sulla quale si trova. Ognuno invade il campo a mala pena presidiato dall’altro generando astio e resistenze.

Se un appello posso fare ai futuri “pareggiatori” o “hoof care provider” è quello di limitarsi alla raspa ed all’igiene veterinaria per lasciare le tecniche ed i materiali a casi particolari. Ce ne é d’avanzo per conquistarsi il rispetto. Tecniche e materiali sono assolutamente da conoscere, Interessanti ma particolari e secondari all’igiene. Con l’introduzione, se indebita, del cavallo scalzo a materiali e tecniche proprie di una mascalcia evoluta il pareggiatore non fa altro che contribuire a far regredire al passato un particolare e selezionato ambiente che faticosamente altri hanno contribuito a creare. Dandosi la zappa sui piedi.

 

Autocritica ed Evoluzione

Qualche giorno fa a Bologna durante un incontro introduttivo abbiamo, o meglio i ragazzi più avanzati hanno, pareggiato alcuni cavalli per dimostrazione. Bene, ad un certo momento sono intervenuto su un posteriore di un cavallo appena finito togliendo alcuni piccoli, ma veramente piccoli credetemi, spuntoncini sulla parte più distale delle barre. Mi “davano fastidio” e li ho equiparati a dei sassolini nelle scarpe. I sassolini nelle scarpe danno fastidio. Ma lo fatto combattuto come se stessi facendo qualche cosa di male, non tanto per scortesia nei confronti di colui che lo aveva appena posato a terra quanto nei riguardi dell’animale. Non sono io che predico ad ogni passo che l’ignoranza o il dubbio devono fermare la nostra mano e rimandare a domani? Forse quei piccoli piccoli spuntoni non erano quanto di meglio esprimevano quelle barre nel tentativo di assolvere il loro compito e di fare la loro parte meglio nel sostegno del peso? Mi sono ritrovato a distanza di molti anni, più di dieci, nella stessa situazione in cui si trovò Pete ed un suo allievo descritta poi nell’articolo “Le Barre” del 2005. Pur avendo a disposizione il materiale di Pete Ramey, pur essendo in contatto con lui, e lui con me e con gli altri della American Hoof Association in un rapporto continuo di confronto e collaborazione, il tempo ed la sovrapposizione dei concetti, l’influenza delle varie posizioni, le comunicazioni stratificate nel tempo non si possono non far sentire o meglio a volte risentire. Come scriveva Pete noi siamo cresciuti cercando di capire, districandoci tra passato e presente e sei edizioni dell’Adams’, tra innumerevoli rapporti ed esperienze. Mentre imparavamo dalle nostre azioni dovevamo disimparare, e questo è assai più difficile, tutto ciò che di dogmatico e fuorviante avevamo sedimentato  mentre lo stesso “sistema barefoot”, come ogni sistema introduceva, tentando di gelare e sclerotizzarle però in dogma, le idee appena nate o riscoperte . Quello che abbiamo disimparato faticosamente grazie all’intuizione ed alla evidenza a volte ritorna nell’azione come  un file dimenticato e richiamato involontariamente. Non so se il parallelo sia davvero azzeccato in pratica ma lo sento tale nel principio. Chi ha imparato direttamente da noi senza subire lo stress dei nostri sforzi, tentativi ed errori e condizionamenti ha la vita davvero più facile. La maggior parte di voi che legge probabilmente non ha gli elementi per apprezzare questo articolo. Dovreste leggere i libri ed i lavori e gli articoli di chi è venuto prima e naturalmente tutti gli articoli di “filosofia del pareggio” di Pete tradotti da Brollo e forse i miei e poi rileggere ancora “Le barre” in un lavoro di anni. Non vi chiedo tanto. Ma lo suggerisco a chi è veramente affascinato da questo argomento e a chi pareggia professionalmente per fare il percorso inverso. Partendo da dati concreti ed in possesso della manualità efficace che alcuni di voi é stato tanto fortunato di apprendere senza che la memoria fosse appesantita da vecchi “file”, rivolgersi alla storia del barefoot ed allo studio imparziale della evoluzione delle tecniche, il confronto sul campo, vi permetterà davvero di ingranare una marcia superiore.

Se Renzi non riesce, paralleli.

Se Renzi non riesce…

…la resistenza generalizzata che il sistema amministrativo dimostra nei confronti di ogni richiesta diretta al cambiamento è la stessa incontrata, in sedicesimo, da coloro che auspicano e cercano di diffondere una più efficiente ed igienica gestione moderna dei cavalli. Non credo il paragone azzardato o privo di senso. Le rendite di posizione derivanti dalla malattia in genere, nel nostro caso particolare la zoppia, fanno si che la logica continui a cedere il passo di fronte ad atteggiamenti, necessità e tecniche superate da tempo. Le rendite portano alla sclerosi sociale dove poco può cambiare ed ogni scoperta, scientifica o tecnica applicativa disturba equilibri consolidati. Renzi può identificare nelle alte gerarchie dello Stato la principale causa dell’ulteriore fallimento della politica di cui tanto si discute in questo periodo, ma l’insieme delle cause ritardanti il rinnovamento non è così semplice e chiaro. Determinanti resistenze sono offerte dalla inerzia della società, dalla sua mancanza di capacità organizzativa e in ultima analisi ignoranza. Se lasciamo l’ambito dell’amministrazione della cose umane per quello etico e pratico del benessere animale, grazie alla stessa metodica di osservazione, possiamo riconoscere ed identificare le categorie professionali che detengono una rendita di posizione a suo discapito. Nella malattia, nella anormalità delle ripetute continue visite veterinarie, nella insistente ripetuta vaccinazione, nella ripetuta ferratura per dodici mesi e, senza continuare oltre nella compilazione di un elenco interminabile ed inutile ma, in estrema sintesi nelle male pratiche cui sono normalmente sottoposti dalle varie figure professionali gli animali scuderizzati o anche quelli per molti versi dimenticati in spazi più o meno grandi, si manifestano gli stessi esiti dannosi causati dalla inerzia, interessi ed ignoranza che il Governo trova nell’amministrazione. Pilotati dalla stessa resistenza, a sua volta e sempre motivata dal mantenimento di una rendita di posizione. Comportamenti forse più miserabili se ad essere coinvolto é un essere vivente, nel modo più diretto. Nel mettere fianco a fianco in parallelo situazioni ed atteggiamenti, stralcio da un saggio di storia della chimica e di filosofia della scienza di Solov’ev: “La storia della chimica, al pari di quella degli altri rami delle scienze della natura, viene scritta ininterrottamente. Il crescere del numero delle ricerche storiche (negli ultimi tempi da noi e oltre confine sono stati pubblicati molti articoli e libri dedicati a singole questioni di storia della chimica) ha fatto sì che molti fenomeni la cui conoscenza sembrava consolidata, venissero rimeditati e, sovrapponendosi al nuovo materiale storico, ricevano oggi una altra spiegazione”. Ed ancora: “..compito della storia della scienza è appunto quello di indicare le vie battute dal pensiero scientifico nella ricerca della verità. Alla conoscenza del vero si è quasi sempre arrivati per vie tortuose, attraverso il superamento faticoso di pregiudizi e di errori che il principio di autorità ed il conformismo scientifico tendevano a perpetuare, tanto che si è potuto a ragione sostenere che fare la storia della scienza significa fare la storia dell’errore umano nella scienza”. L’inerzia ed il conformismo si presentano sempre eguali. Sostituite poche parole e ritroverete i problemi incontrati in questi venti anni dall’iron free movement nel nostro piccolissimo settore e quelli incontrati dagli “animalisti” in genere. Considerate che i chimici o i fisici ed il resto degli altri scienziati, pur nelle resistenze fra colleghi o politico religiose, ricevevano una grande spinta dalle continue e montanti richieste della società e del mercato. La stessa richiesta di miglioramento ed emancipazione teorica, pratica ed etica, per ora frammentaria, viene fatta da animalisti, proprietari di cavalli e studenti, insoddisfatti delle prestazioni, programmi di studio ed etica correnti ed imperanti. La revisione delle normative a favore del benessere animale e soprattutto il loro rispetto non può aver luogo nella mancanza di sensibilità e partecipazione della massa. Ad esempio la revisione dei piani di studio delle facoltà di veterinaria ed il loro riorientamento dal controllo ed ispezione dell’allevamento e produzione animale verso la medicina non può avere luogo senza l’impegno nel fronteggiare le resistenze al cambiamento che può e deve essere assunto da coloro che desiderano un medico, non un addetto formato per l’ispezione a garanzia dell’alimentazione umana, per la cura dei loro animali. Egualmente da maniscalchi, pareggiatori, allenatori ed istruttori, deve essere sollecitata una prestazione in linea con le proprie aspettative e tendenze dalla avanguardia di proprietari di animali non disposti a barattare salute per utilizzo. I proprietari degli animali da parte loro debbono diventare consapevoli sia dei limiti attuali e delle deficienze teorico pratiche dei professionisti cui si rivolgono per potere desiderare di ottenere di più sia delle necessità di base dei loro animali cui devono provvedere direttamente. Come? Con l’IGIENE, l’insieme dei comportamenti e delle caratteristiche ambientali tali da ridurre il manifestarsi della malattia e facilitare il mantenimento dello stato di benessere. Comportamenti e caratteristiche comuni a tutti i viventi. Più in generale dovrebbe farsi strada l’idea della difficoltà e dei costi della gestione “umana” degli animali e l’accettazione dei conseguenti addebiti, limiti e rinunce. Difficoltà e costi intrinseci alla gestione animale che nel mondo urbanizzato hanno determinato l’offerta di gestione animale da parte dei centri ippici, veri e propri condomini per animali, dove le necessità di specie vengono trascurate ed i cavalli non hanno in realtà un padrone ma un gestore. Nell’ignoranza del proprietario e interesse del gestore qualsiasi riferimento al benessere animale è perduto. L’alimentazione con concentrati ed a pasto, la tosatura e le coperte, la ferratura e le imboccature, lo spazio ristretto e l’isolamento, l’addestramento e l’allenamento nell’ignoranza delle Scienze, trovano giustificazione o causa nell’ignoranza e nell’interesse al mantenimento di pratiche gestionali usuranti che prevedono spese e ricambio di animali. Non so come evolverà la situazione del paese Italia e come Renzi e i suo successori la affronteranno. Vedo però chiara una stretta analogia di comportamento da parte della gente qualsiasi sia il problema da affrontare.

Per il proprietario di un cavallo, come di un cane o di qualsiasi altro animale, può rappresentare un buon allenamento sforzarsi di abbandonare preconcetti e situazioni di comodo apparente ed affrontare almeno la gestione del proprio animale in modo coerente e moderno. Almeno in questo non si possono addurre scuse di controllo o ingerenza.

Credo che tutti, pur nella nostra limitata sfera di influenza, possiamo studiare, informarci, rinunciare al pregiudizio, fare propaganda a favore di una vita più bella e di maggior valore e in definitiva creare un Paese migliore richiamando alla responsabilità noi stessi e coloro che offrono prestazioni di qualsiasi grado o genere.